Salvo quando segue altre cifre, lo zero non conta un bel niente. Eppure lo spettatore zero è uno spettatore privilegiato, il primo in assoluto. Lo spettatore zero assiste alla nascita del film e lo vive come work in progress, e se assiste anche alle riprese può cogliere elementi che rimangono fuori dall’inquadratura: lo sguardo che si illumina, l’espressione concentrata, una risata o un sospiro del giovane animatore. Dello spettatore zero ci si può fidare, è da lui che ci si aspetta un giudizio appassionato e coinvolto.
La curiosità è spesso il motore che spinge bambini e i ragazzi a sperimentare la tecnica del cinema d’animazione, ma l’esperienza diventa da episodio isolato un vero e proprio percorso grazie al piacere di vedere il risultato del proprio lavoro e all’incoraggiamento da parte di chi ha assistito alla produzione.
Insomma dietro ad ogni giovane paziente animatore c’è un nutrito gruppo di supporters. Tra questi, in prima fila – affiancati da nonni, zii, amici e insegnanti – ci sono i genitori. Gli stessi che hanno aiutato bambini e ragazzi a muovere i primi passi, assistono curiosi alla creazione dell’illusione del movimento attraverso un set d’animazione portatile. Molti rimangono in silenzio, un poco in disparte o ci chiedono qualche minuto per andare a bere un caffè, altri partecipano entusiasti alla fase di ideazione e realizzazione dei personaggi, mettendosi a disposizione come manovalanza.
In ogni caso il loro contributo alla riuscita di un incontro di laboratorio è fondamentale. Si mettono in ascolto e lasciano che i loro figli, se lo desiderano, possano esprimersi attraverso la tecnica e il linguaggio del cinema d’animazione.
Fino ad oggi di genitori così ne abbiamo incontrati oltre 500. Questi, senza titoli, né formazione professionale specifica, esercitano il mestiere più difficile del mondo, in una condizione di particolare fragilità dovuta alla malattia e ai limiti che le terapie comportano. Giorno dopo giorno sono chiamati a prendere decisioni delicate e ad assistere al percorso di cura facendo fronte alle preoccupazioni e alla stanchezza a cui talvolta si aggiungono la fatica di vivere lontano dal proprio paese di origine, di confrontarsi con una cultura diversa dalla propria, imparando una nuova lingua.
Avere energie e coraggio per arginare le preoccupazioni e fare spazio invece ad esperienze che possano coinvolgere positivamente i propri figli non è cosa da poco. Non sempre la fiducia prevale su stati d’animo di segno negativo ed è facile che le paure alzino barriere invisibili. Con questa consapevolezza, ripensando alla strada fatta dal 2012 ad oggi, come operatori del progetto Cartoni animati in Corsia, siamo grati a tutte le mamme e i papà (nonni, nonne, zii, fratelli, sorelle etc) che hanno accolto con favore la nostra presenza in corsia, che hanno visto nei laboratori di produzione un’occasione di crescita e scoperta (per i figli e per se stessi), come un’opportunità per uscire dall’isolamento e dal tempo senza tempo del ricovero.
Da questa capacità resiliente dei genitori di cercare e trovare uno spazio da dedicare a se stessi e al benessere dei propri figli durante l’ospedalizzazione, sono nati i primi percorsi personali e altrettanti film che hanno saputo parlare attraverso le immagini e i suoni ad altri grandi e piccoli spettatori, in corsia, al cinema sul grande schermo in città, nelle scuole, nei festival internazionali.
Decisivo per gli stessi il ruolo di messaggeri – nel passaparola con gli altri genitori in corsia e non, nel diffondere notizie dettagliate sul laboratorio parlando al telefono con gli altri membri della famiglia – e di traghettatori dall’ambiente ospedale al fuori (scuola, casa, il contesto sociale) come il cinema dove a distanza di qualche tempo vengono proiettati i film realizzati o i festival che invitano i giovani autori a presentare il proprio lavoro.
Ora che i laboratori sono tornati in corsia per il settimo anno consecutivo, possiamo proprio dirlo: senza questi silenziosi (e invisibili!)spettatori zero non avremmo potuto intraprendere un così lungo e affascinante viaggio.
Silvia Palermo